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Le fonti alimentari nelle grotte di Frasassi
I precedenti studi hanno individuato esemplari di fauna ipogea principalmente presso gli ingressi delle grotte o in zone contenenti depositi di guano. In queste zone la presenza di fauna era legata a materia organica di origine fotosintetica, trasportata in grotta direttamente per gravità (foglie, pezzi di legno), dall'acqua (detriti vegetali, suolo) o dai pipistrelli (guano). L'assenza di cibo nella maggior parte dei rami superiori del complesso Grotta del Fiume - Grotta Grande del Vento, è causa della mancanza o della scarsità di fauna in queste zone (Bertolani et al., 1994). Le ricerche condotte nelle zone sulfuree delle grotte di Frasassi hanno tuttavia permesso di scoprire una ricca comunità di invertebrati. L'abbondanza di alcune queste popolazioni è comparabile a quella riscontrata nei rami sulfurei della Grotta di Movile, in Romania (Sarbu, 2000), con valori che in entrambe le grotte possono variare da 10 a 50 individui per m2. La maggioranza di queste specie (circa il 60%) sono endemiche e diffuse solo nei rami sulfurei. Ben nove di queste specie sono rappresentate da predatori.
La scoperta di una sviluppata comunità batterica nelle acque sulfuree, così come sulle pareti della grotta al di sopra del livello freatico, unitamente alla presenza di H2S nell'atmosfera, suggeriscono che microrganismi solfossidanti rappresentino i produttori primari nell'ecosistema sotterraneo. Le superfici calcaree ed i sedimenti, al di sotto del livello freatico, sono infatti rivestiti da uno strato di materiale organico, mentre in ambiente vadoso un sottilissimo livello di materiale organico è stato individuato al di sotto delle croste gessose, all'interfaccia con il calcare (Galdenzi et al., 1997). Grandi quantità di flagellati prosperano nelle acque sulfuree, associati con i batteri solfossidanti.
Per verificare il ruolo delle comunità batteriche nell'ecosistema, su alcuni campioni di materiale organico, ricco di batteri, prelevati nelle acque sulfuree sono state effettuate incubazioni utilizzando bicarbonato marcato radioattivamente con 14C. Queste esperienze hanno mostrato un incremento del contenuto di carbonio radioattivo nella materia organica; ciò conferma che il carbonio viene fissato presso la superficie redox e che la materia organica è prodotta in situ all'interno della grotta. Su alcune pareti calcaree direttamente esposte ai vapori di H2S ed interessate da una produzione di gesso molto intensa sono presenti masse gelatinose ricche di solfobatteri e principalmente costituite da glicocalice mucoso.
Questi materiali sotto l'effetto della gravità tendono a scivolare, fino a formare piccoli ammassi che assumono forma di stalattiti, nominate "mucoliti"; i valori di pH misurati sulla superficie delle mucoliti risultano anche inferiori ad 1 (Galdenzi et al., 1999b; Vlasceanu et al., 2000) indicando che acido solforico viene liberato come sottoprodotto dell'attività batterica. L'estrazione del DNA e lo studio delle sequenze del gene 16S hanno consentito di riconoscere due tipi di microrganismi (Vlesceanu et al., 2000): uno di essi ha strette affinità con Thiobacillus thiooxidans, mentre l'altro mostra affinità meno strette con Thiobacillus ferrooxidans; entrambi questi batteri sono capaci di utilizzare energia liberata dai processi di ossidazione dello zolfo. Il metabolismo dei batteri determina un forte abbassamento del pH ambientale: la presenza di un substrato costituito da rocce calcaree consente di tamponare la reazione, innalzando il valori di pH, ad eccezione delle località in cui il processo raggiunge la massima intensità, come nella zona in cui si hanno le mucoliti. In questi casi l'elevata acidità rappresenta una condizione sfavorevole allo sviluppo di fauna, generalmente scarsa e spesso rappresentata da esemplari morti.
La struttura trofica nella grotta
Per determinare quale fosse l'origine del cibo utilizzato dalle popolazioni nelle diverse zone della grotta ed in superficie è stata effettuata l'analisi dei rapporti tra gli isotopi stabili del carbonio e dell'azoto. Questo metodo può essere utilizzato in quanto possono essere previsti i valori del frazionamento isotopico di carbonio (13C/12C) e azoto (15N/13N) dovuti all'azione degli organismi viventi. Per i microrganismi solfossidanti sono già stati riportati valori di frazionamento isotopico pari a circa il -25o/oo tra il carbonio inorganico e quello contenuto nella biomassa degli organismi chemioautotrofici (Degens, 1969; Ruby et al., 1987; Vlasceanu et al., 1997). Gli eterotrofi sono tipicamente arricchiti di circa il 1-2o/oo in 13C e del 3-5o/oo in 15N rispetto alle loro fonti alimentari. Lo studio dei rapporti isotopici di carbonio ed azoto è già stato utilizzato per identificare sorgenti alimentari autoctone per la fauna di altri sistemi carsici ipogei (Pohlman et al., 1997; Sarbu et al., 1996; Southward et al., 1996).
Nel caso di Frasassi gli ioni bicarbonato nelle acque sulfuree contengono carbonio isotopicamente leggero rispetto a quello degli ambienti epigei; i valori registrati nelle acque freatiche per d13C sono infatti compresi tra -7.5o/oo e -9o/oo. Ciò consente una efficace utilizzazione della metodologia. I rivestimenti organici campionati nel Ramo Sulfureo della Grotta del Fiume, costituiti principalmente da batteri solfossidanti, mostrano valori medi di -35o/oo per d13C, indicando un frazionamento di circa il -20o/oo. Valori simili sono già stati riscontrati per i microrganismi chemioautotrofici responsabili dell'ossidazione dei solfuri (Degens, 1969; Ruby et al., 1987; Vlasceanu et al., 1997).
I frammenti vegetali che costituiscono le fonti alimentari per gli organismi presenti in superficie e negli ingressi delle grotte presentano valori di d13C del -27o/oo, caratteristici per le piante che utilizzano il ciclo di Calvin (O'Leavy, 1988). I campioni di invertebrati che si nutrono del guano di pipistrelli nelle parti superiori, non sulfuree della grotta risultano isotopicamente più pesanti per carbonio ed azoto rispetto a quelli che si nutrono direttamente di detriti vegetali; ciò è ragionevole, in quanto il guano è costituito da materia organica che ha già subito numerosi passaggi nella catena alimentare. Gli invertebrati presenti nei rami sulfurei delle grotte contengono carbonio ed azoto isotopicamente più leggeri sia rispetto agli organismi che si nutrono di guano o di detriti vegetali, sia rispetto agli stessi materiali di origine vegetale. Poichè in un ecosistema i consumatori risultano arricchiti di isotopi pesanti rispetto alle loro fonti alimentari, la fauna presente nei rami sulfurei è evidentemente legata a risorse alimentari differenti da quelle provenienti dalla superficie esterna. In queste caso le fonti alimentari sono rappresentate dalla materia organica prodotta in situ per chemiosintesi dai solfobatteri. La presenza di specie distribuite sia nelle zone sulfuree che presso i depositi di guano rende inoltre possibili interessanti confronti. Sia i campioni di materia organica tratti da Androniscus dentiger che da Nesticus eremita sono isotopicamente più leggeri nelle zone sulfuree della grotta rispetto alle aree in cui è presente cibo sotto forma di detriti vegetali o guano. Anche questo dato evidenzia che le popolazioni di invertebrati presenti nelle zone sulfuree non si alimentano con cibo di origine fotosintetica (come detriti vegetali, guano, etc.), ma con materia organica sintetizzata direttamente in grotta da batteri chemiosintetici.
I dati ricavati dagli isotopi stabili indicano inoltre che il Niphargus ictus si ciba della materia organica che riveste i sedimenti nelle acque sulfuree. Il ragno Nesticus eremita nelle zone sulfuree della Grotta del Fiume si alimenta a spese delle ricche popolazioni di Androniscus dentiger, come suggerito dai dati isotopici ma anche dalle osservazioni dirette (Fig. 6). Lo stesso A. dentiger rappresenta una preda per il Duvalius bensai lombardi (Fig. 5b) nelle zone in cui la catena alimentare è basata sul guano. Da notare inoltre il contenuto isotopico particolare delle popolazioni di A. dentiger legate ad una base alimentare rappresentata dalle "mucoliti", che mostrano valori estremamente bassi di d15N. La ricchezza di cibo nelle zone sulfuree della grotta consente quindi un elevato sviluppo della fauna in queste zone rispetto al resto della grotta; le specie adattatesi a queste aree restano così confinate nel loro habitat, riducendo gli spostamenti verso altre zone della grotta non interessate dalla circolazione di acque sulfuree. Ciò è evidenziato dalla netta differenza della biocenosi presente nelle zone sulfuree e non; inoltre i dati preliminari sulla struttura genetica delle popolazioni di Androniscus dentiger mostrano significative differenze tra le popolazioni delle zone sulfuree rispetto a quelle ricche di guano, anche dove i diversi habitat risultano molto vicini (Sarbu et al., 2000) Questi dati conformano la scarsità di scambi della fauna tra le zone sulfuree, ricche di cibo, rispetto al resto della grotta, dove le disponibilità alimentari sono più scarse e circoscritte a località isolate.